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La musica affonda le sue radici nella notte dei tempi. Conoscere com'era e come si è evoluta nei secoli presuppone il poter contare su documenti certi e comprensibili. Importante è quindi il tema della notazione, della simbologia, dei sistemi di scrittura coi quali i nostri antenati hanno registrato su carta o quant'altro i suoni della loro musica.
Per questo è bene, prima ancora di ripercorrere la storia della musica, soffermarci brevemente su come e perchè nasce e si sviluppa la nostra scrittura musicale, uno strumento senza il quale gli stessi musicisti di oggi non potrebbero realizzare le proprie espressioni sonore.

RAGIONI E ORIGINI DELLA NOTAZIONE MUSICALE
vedi mappa concettuale

L’uomo ha imparato a parlare molto prima di inventare l’alfabeto. Così, sin dai primordi della sua vita sulla Terra, ha fatto musica, anche se assai più tardi ha escogitato sistemi per scriverla.& Perché è nata l’esigenza di scrivere la musica? Possiamo indicare due ragioni fondamentali.

La prima risiede nella possibilità che i segni scritti offrono di conservare la musica nel tempo, e di trasmetterla a distanza nello spazio. Noi non potremmo oggi ascoltare composizioni del Medioevo o del Rinascimento o dell’Ottocento se non ci fossero rimaste le partiture che ci permettono di leggerle e riprodurle.

La seconda ragione riguarda invece la complessità della musica sviluppatasi in certi Paesi, soprattutto in quelli occidentali, al punto che sarebbe stato impossibile coordinare tanti suoni intrecciati senza la possibilità di studiarne prima le combinazioni mediante un progetto scritto.

Certo, si può anche improvvisare senza scrivere, e molti canti popolari vengono trasmessi oralmente. Ma essi sono caratterizzati da scritture relativamente semplici. Il problema è di tutt’altra natura quando ci si trova di fronte ad una opera lirica, a una sinfonia, ad una Messa a più voci, in cui decine e decine di parti (strumenti, voci) debbono sovrapporsi in perfetto accordo.

APPROFONDIMENTO: COME NASCE LA NOTAZIONE MUSICALE


L'invenzione della scrittura musicale nasce nell'ambito della musica sacra nei secoli successivi al IX sec. Fino a quegli anni, infatti, in Europa vi erano una moltitudine di tradizioni liturgiche che condividevano la matrice ebraica. I primi cristiani, che erano ebrei convertiti, si erano infatti sparsi in tutta Europa, fondendo le loro tradizioni liturgiche con quelle autoctone e creando così, un mosaico di tradizioni diverse.

Con l'alleanza del papato con la dinastia carolingia, si rende necessaria una unificazione del rito su tutto il territorio di influenza. Il nuovo repertorio unificato viene, secondo la leggenda, compilato da papa Gregorio Magno (590-604), sotto diretta dettatura dello Spirito Santo.

La realtà dei fatti è ovviamente molto diversa: la figura di Gregorio è stata usata più che altro per rendere divina e indiscutibile l'unificazione. Sappiamo infatti, che parte del repertorio è stata definita dopo la morte del pontefice.

Il Canto Gregoriano scritto e documentato su carta diventa così patrimonio che deve essere tramandato fedelmente. Scompare sia la componente improvvisativa che aveva caratterizzato molti canti fino a quel momento, sia la necessità dei cantori di imparare a memoria tutto il repertorio liturgico.

Così si prende l'abitudine, in modo originale in ogni centro monastico, di scrivere dei segni, detti Neumi, sopra alle sillabe da cantare (come aiuto mnemonico). L’origine dei neumi va ricercata in certi segni che si era soliti porre sui testi sacri e poetici, il cui compito era quello di suggerire una recitazione espressiva.

Si trattava di punti e linee, ora ascendenti, ora discendenti, ora ondulati che facevano capire al lettore quando doveva alzare la voce e quando doveva abbassarla. Si pensò che questi segni potevano essere utili non solo per la recitazione, ma anche per il canto. Il passo successivo viene fatto dai monaci amanuensi, che per permettere ai cantori di segnarsi i propri neumi, prendono l'abitudine, nella copiatura di un libro, di tracciare una linea vuota tra ogni riga di testo.

La linea a secco tirata dal copista e lasciata ai cantori diventa così il primo riferimento per indicare l'altezza relativa delle note di un canto. È qui che entra in gioco l'operato di Guido d'Arezzo (991-1033), un monaco che propone in un suo testo l'uso di una notazione musicale unica che verrà adottata universalmente dal XI secolo in poi. Egli introduce l'uso del tetragramma, un sistema di quattro righe parallele in cui poter indicare l'altezza relativa delle note di un canto.

Per determinarne, invece, l'altezza assoluta, il monaco propone due soluzioni: quella di colorare le due righe corrispondenti al fa (rosso) e al do (giallo), in modo da poter individuare velocemente il semitono, e quella di porre una chiave in corrispondenza di un rigo, che identifichi una particolare nota. Da questo secondo metodo, si sono sviluppate le chiavi musicali che usiamo tutt'ora. 

Guido d'Arezzo introduce anche altre innovazioni, volte ad aiutare i cantori nell'imparare il repertorio, tra cui il sistema mnemotecnico della cosiddetta Mano Guidoniana ed un metodo per la lettura a prima vista da cui derivano i nomi delle note che usiamo anche adesso. Nascono così i nomi delle note, le chiavi e la notazione musicale delle altezze. Per quando riguarda la notazione ritmica, bisogna aspettare ancora un secolo. 

Risolto il problema dell’indicazione dell’altezza, rimaneva quello delle durate. Specie con lo sviluppo della polifonia si presentava l’esigenza, per trovare un perfetto accordo ritmico tra le parti, di assegnare valori definiti a ciascun suono.

Si pensò allora che la durata si potesse rappresentare mediante la forma delle note. Per indicare valori più piccoli si escogitò un piccolo rombo, poi altri segni di durata in notazione quadrata: la minima e la semiminima. Sorge anche la necessità di indicare all’inizio del pezzo se il tempo va battuto in tre o in due.

Le note che indicavano le maggiori durate erano scritte spesso in rosso, abitudine abbandonata poi verso il XV secolo, in cui la attuale notazione con segni bianchi e neri era gia affermata. L’introduzione della stampa ha portato ad ulteriori perfezionamenti e semplificazioni, al fine di uniformare i diversi segni. Fra il XVI e il XVII secolo le note passano dalla forma quadrata alla rotonda (per la ragione che, dovendo sovrapporre più note sul rigo, le quadrate tendono a confondersi, le rotonde rimangono invece distinte).

Nel nostro secolo, i musicisti hanno esplorato nuove fonti sonore (ad es. suoni elettronici, rumori concreti) ed hanno elaborato tecniche di composizione diverse da quelle del passato. Di qui la ricerca sempre continua ed attuale di diversi sistemi di scrittura e di notazione.


LA MUSICA NELLE ANTICHE CIVILTA'

Le testimonianze sulla musica delle civiltà antiche sono più che altro di ordine materiale e visivo: graffiti, dipinti, statue, incisioni e bassorilievi dai quali si sono potute dedurre informazioni non tanto su com'era la loro musica, quanto invece sul ruolo e l'importanza che essa aveva in quelle società umane. ​

Come per tutti i popoli antichi, ma per gli Egizi in modo particolare, Il suono era la “voce” delle cose e la musica - che apparteneva al mondo del mistero e dunque motivo di fascino e attrazione -  era ritenuta un dono prezioso del cielo, fonte sublime di letizia e di serenità. Il suo nome era infatti "hi" che significa anche gioia, beatitudine.

Un quadro sufficientemente ampio della musica in Israele può essere invece ricostruito attraverso la Bibbia, con un popolo per il quale canto, musica e danza ebbero una notevole importanza spirituale. Sotto il regno di Davide, le imponenti cerimonie destinate al culto videro all’opera anche 4000 coristi che "cantavano le lodi del Signore".

Anche in Mesopotamia la musica era particolarmente coltivata: il semplice suono, ritenuto l’”anima” di ogni fenomeno, aveva infatti il potere di evocare, nel bene e nel male, le forze della natura. Per questo i musicisti erano una classe privilegiata, tanto che il cantore di corte era secondo di rango soltanto al sovrano.

Alcuni documenti dell'antica musica cinese giunti fino a noi permettono di stabilire che, fin dall'antichità più remota, questo popolo impiegò per la sua musica una caratteristica scala di cinque suoni (scala pentatonica). I Cinesi costruirono diversi tipi di strumenti: timpani, tamburi, campane, flauti, liuti.

 

Gli Indiani coltivarono oltre ad una musica religiosa anche una profana destinata ad allietare i banchetti, accompagnare le danze o rappresentazioni teatrali. Tra i loro& strumenti tipici sono la vina, un cordofono con due zucche vuote come casse armoniche e il sitar, considerato un antenato del violino.